A cura di Alessandra Fava e Benedetta Petronzio
Gina Pane fu una performance artist francese vissuta principalmente in Italia, nata nel 1938 a Biarritz e morta nel 1990 a Parigi a causa di un cancro. Ha dato tutta la sua vita e il suo corpo all’arte, studiandone anche la parte dolorosa e manifestando la sofferenza a cui le donne sono sottoposte.
Il suo percorso artistico iniziò con pittura e scultura, elaborando opere geometriche, come veniva fatto da molti uomini in quel periodo. Si avvicinò poi alla corrente dell’arte povera, concentrandosi sul rapporto uomo-natura, così come Mario Merz. Il suo corpo diviene così centrale nelle sue opere, elemento che inoltre talvolta essa stessa ferisce.
Una performance artist è un artista che usa il tempo, lo spazio, il suo corpo e una relazione tra quest’ultimo e il pubblico. La performance può essere inoltre eseguita sia in diretta che tramite media.
Le sue opere più conosciute, forse perché considerate anche le più pungenti, sono “Il bianco non esiste”, 1972, Los Angeles, nella quale ferisce il proprio volto con una lametta, lasciando così il pubblico sbigottito: il suo obiettivo è quello di liberarsi dagli standard estetici e dai pregiudizi che colpiscono le donne da sempre; la ferita che si provoca da sola non riguarda solo se stessa, ma tutte le donne.
“Azione sentimentale”, 1973, Milano: l’artista si presenta ad un pubblico di sole donne, vestendo un abito bianco, che rimanda alle vestali o alla sposa cattolica. In mano tiene un mazzo di rose rosse, da cui stacca una a una le spine per conficcarle nel suo stesso braccio, il sangue macchia così i vestiti bianchi e, il mazzo di rose rosse, viene sostituito da quelle bianche. In questo caso la performance di Gina Pane ha due significati: il martirio religioso, la condizione di un seguace che subisce per aver difeso la propria fede, e lo stereotipo delle donne come moglie, madre e sposa.
Ultima ma non per importanza “Action Psiché”, 1974-75: Gina Pane si esamina allo specchio, ne disegna l’immagine come si stesse truccando, utilizzando una lametta per tagliare le sue arcate sopraccigliari ed evocando così il martirio di Santa Lucia, lasciando scorrere sul viso lacrime di sangue.
Gina Pane si rivolge molto di più alle donne proprio per la loro condizione negli anni settanta. Fa in modo che il suo masochismo non coinvolga solo lei, ma anche gli altri. Il sangue, oltre al suo corpo, diviene un modo per mostrarsi e farsi conoscere al pubblico, proprio perché si trova al suo interno.
Gina Pane si taglia per il pubblico, per condividere un dolore che in quegli anni attanaglia le donne in un Paese fortemente maschilista.
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