C’era una volta…

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Della Professoressa Paola Belli

E’ questo l’incipit classico, più tradizionale, con cui solitamente inizia una fiaba, rimandando chi legge, o chi ascolta, ad un tempo indefinito. Fin da piccola questa espressione richiamava alla mente scenari e personaggi suggestivi, lontani, romantici o terribili, provocando una sensazione particolare che solo ora, da adulta, riesco a comprendere: la consapevolezza del potere e del valore delle parole. 

Raccontare con le parole è un’arte, forse di pochi, tuttavia ognuno avverte il bisogno di raccontare e di raccontarsi: è essenziale, curativo, a volte liberatorio. Narrare non significa solo esporre una serie di fatti e informazioni ma piuttosto descrivere un’esperienza, uno sguardo sul mondo che si vuole condividere.

Il linguaggio è una dimensione complessa, presuppone una natura sostanzialmente dialogica, è uno strumento indispensabile, il cui uso corretto o inappropriato comporta vantaggi o criticità. Il linguaggio serve per conoscere la realtà, per comprenderne la complessità, è utile a definire la nostra identità, ci  permette l’incontro con l’altro. 

Nell’era del digitale è lecito chiedersi se l’ arte della parola sia entrata in crisi. A mio parere sì, il rischio è reale. Le nuove forme di comunicazione, infatti, puntano maggiormente alla sintesi, privilegiano il testo breve e spesso l’efficacia comunicativa è garantita dalla immediatezza di una foto originale mentre la parola è ridotta a breve didascalia, a supporto dell’immagine stessa. 

I canali comunicativi sono cambiati ma, riflettere sul valore della parola oggi, significa inevitabilmente riportare l’attenzione su un aspetto che non cambia mai: le parole non sono mai neutre. Le parole hanno un peso, lasciano un’impronta, oppure un marchio, con le parole possiamo compiere, o indurre altri a compiere, vere e proprie azioni, anche il silenzio  comunica, le parole danno voce ai nostri pensieri e non è vero che..”sono solo parole”.

Condivido, per concludere, una citazione tratta dall’opera del sofista Gorgia che, più di due millenni or sono,  aveva già colto l’essenziale: 

“C’è tra la potenza della parola e la disposizione dell’anima lo stesso rapporto tra l’effetto dei farmaci e la natura del corpo. Come infatti certi farmaci eliminano dal corpo certi umori, alcuni troncano la malattia, altri la vita; così anche dei discorsi, alcuni producono dolore, altri diletto, altri paura, altri ispirano coraggio agli uditori, altri infine, con qualche persuasione perversa, avvelenano l’anima e la stregano”.

  Encomio di Elena (V sec. a. C.)

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