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a cura di Emanuele Anelli
“Incapace di percepire la forma di te,
ti trovo tutto intorno a me.
La tua presenza mi riempie gli occhi del tuo amore,
umilia il mio cuore,
perché tu sei ovunque”
Con questi versi si conclude il lungometraggio vincitore di quattro premi Oscar “la forma dell’acqua”, di Guglielmo del Toro.
La pellicola mostra un amore dal fascino fiabesco, in cui i silenzi forzati dei protagonisti prevalgono sui dialoghi dei personaggi che li affiancano, facendoli risultare frivoli, privi di alcun significato.
Le scenografie iniziali e finali assumono un aspetto surrealmente poetico, plasmate dalle profondità marine sembrano chiudere la storia in modo ciclico.
L’acqua, elemento cardine all’interno del film, sigilla l’incontro, l’avvicinamento e infine la convivenza di Elisa, donna affetta da mutismo, e una creatura anfibia, imprigionata nella struttura governativa dove ella lavora come addetta alle pulizie.
L’intesa tra i due deriva dalla loro affine incapacità di relazionarsi con la realtà che li circonda, risultando fuori posto.
Elisa vive sentendosi come sott’acqua, cosciente di poter percepire nitidamente suoni che non potrà mai replicare.
La creatura, invece, viene strappata dalla sua terra natia, passando dalla venerazione al subire continui abusi da parte dei ricercatori.
L’affinità tra i due è palpabile, un semplice gesto, come un incontro abitudinario, da origine ad un climax a cui i personaggi assistono inermi.
L’apice è raggiunto dal salvataggio della creatura e della stessa Elisa, che, scomparendo negli abissi, raggiungono la piena consapevolezza di essere il frutto di una fusione, dove le due anime sono ormai indistinguibili.
un film bellissimo <3