di prof.ssa Maria Luisa Imperiali
Inevitabilmente molte immagini premono disordinatamente per affiorare e precisarsi. La carne che si fa corteccia d’albero per Dafne in fuga nell’opera di Bernini viene scalzata, quasi con violenza, dallo strappo inferto da prepotenti rami che nell’opera del contemporaneo Alik Cavaliere si sostituiscono al gesto “dell’oggetto del desiderio”.
“ O Padre, aiutami, se pure voi, fiumi, avete un potere divino! O terra, dove troppo io piacqui, spalàncati, oppure trasformandomi, distruggi questa mia bellezza, causa della mia rovina”. Così recita Dafne nelle Metamorfosi di Ovidio. Doverosa citazione ma le parole si frantumano, i caratteri prendono il volo e divengono linee pronte a dare origine all’infinito a mille configurazioni. La linea viaggia come diceva Paul Klee, la metamorfosi è continua, incessante, qualcosa appare ma nel tempo che impieghi a definirlo è già altro.
“Avvicinati,avvicinati,moglie mia infelicissima, e finchè qualcosa avanza di me toccami e prendimi la mano, finchè il serpente non mi invade tutto” recita Cadmo rivolgendosi alla moglie Armonia. Il libro mi scivola dalle mani, lo raccolgo e l’atto mi rimanda all’opera di Max Klinger – Ein handschuh – una serie di incisioni dove nella tavola d’esordio ritroviamo un uomo che raccoglie da terra qualcosa. Si tratta di un guanto caduto ad una elegante signora che pattina. Da qui parte il viaggio di questo profumato surrogato della mano di una creatura che molto probabilmente non rivedrà più. Quante metamorfosi subirà questo guanto, addirittura lo ritroviamo alla guida di un cocchio trainato da cavalli, ma non descriverò altro per lasciare intatto il piacere della scoperta. Mi limito a sottolineare che queste tavole sono state fonte di ispirazione per molti surrealisti, Klinger ha acceso un fiammifero e gli altri l’hanno trasformato in fuoco capace di fare luce nell’oscurità dei sogni.
Metamorfosi, visionarietà e capacità di proiezione sono parenti stretti. L’uso e l’abuso dell’esempio di Leonardo che in ogni macchia ravvisava fisionomie di volti, mi obbliga a citare la pareidolia, che detta così suona quasi come una malattia, ma in realtà è un compagno che ci sostiene quando il foglio bianco reclama visite significative.
Mi prendo le libertà di abbandonare Leonardo per servire su un piatto d’argento il pollo arrosto di Meret Oppenheim, ovvero la metamorfosi di un paio di scarpe décolleté bianche tenute insieme da un sottile spago. Quasi da acquolina in bocca, forse la stessa che ha suggerito ad un mio allievo (ha voluto mantenere l’anonimato)che come novella Circe ha attribuito l’identità di “culatello” ad una scultura esposta all’Arsenale nell’ultima Biennale di Venezia. Agli oggetti del nostro quotidiano, distrattamente guardati in tempi normali, nel periodo di isolamento che ci ha costretto a rimanere in casa per lungo tempo abbiamo dedicato loro un’osservazione più attenta, accurata e divagante al tempo stesso. Guardato e riguardato durante una notte insonne, sono certa che un vecchio orologio da tavolo l’avrete letto come inquietante e animata presenza. Contraria e divertente la sorte toccata a re Luigi Filippo I che grazie alla puntuta matita del disegnatore Charles Philipon si ritrova catapultato nel regno vegetale come pera matura.
Spostiamo lo sguardo su orizzonti e luoghi lontani e scorgiamo morbide forme sulle quali gioca una luce calda e avvolgente. Sono i tagli arditi e le inquadrature vertiginose su corpi femminili che il fotografo Bill Brandt restituisce come promontori levigati, qui la metamorfosi si compie attraverso l’obiettivo fotografico nel tempo di uno sguardo che s’inganna.
Ci inganna invece, con l’astuzia del prestigiatore, quell’elegante signore in bombetta che risponde al nome di Renè Magritte offrendoci scarpe come piedi, uccelli come foglie mentre una nube si è trasformata in pietra ma non precipita…che amasse i giochi di prestigio è cosa risaputa. Ma spingiamoci oltre e prestiamo attenzione alla metamorfosi dettata dalla sperimentazione sulla materia, dal caso che spesso riserva interessanti sorprese ai curiosi e ai coraggiosi. Penso a Max Ernst, al frutto di quelle raffinate alchimie che gli consentono di sollevare una materia magmatica e restituirci una foresta.
Volevo concludere con la definizione di metamorfosi estrapolata dalla Treccani oppure con la frase “ Nel libro di… a pagina… l’autore scrive …” ma non tradirò la mia natura e mi congedo con le parole di Collodi :
C’era una volta …
Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo di catasta, di quelli…