Chimica in arte: di Gilberto Zorio

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a cura di Alice Brigante

“Un recipiente di minerali e di acqua, le sue vene, i polmoni e organi sono uno straordinario laboratorio chimico fatto di tubi e alambicchi” così è come definisce l’essere umano l’artista Gilberto Zorio, che potreste ricordare per la partecipazione al movimento dell’Arte Povera sviluppatosi in Italia negli anni ‘60.

Per lui, l’arte è un’evoluzione che si concentra su processi di trasformazione della materia e sul passaggio di energia e dimostra ciò realizzando opere dove i vari materiali scatenano reazioni chimiche tra di loro. Questo rende le sue opere dinamiche, non solo per l’uso di attrezzatura non propriamente tradizionale come materiali industriali, tubi e alambicchi, ma anche perché è il passaggio del tempo stesso a trasformare le sue opere. Il tempo acquista quindi un’importanza particolare: dal momento che i suoi lavori continuano ad evolversi (grazie alle reazioni chimiche che si innescano) non possono mai considerarsi definitivamente conclusi.

Una delle opere più conosciute dell’artista è Tenda del 1967. È anche una delle opere a cui si fa spesso riferimento quando si tratta di Arte Povera perché questa corrente mostra la volontà di tornare ai bisogni primari dell’uomo, alla natura intorno ad esso, ai processi degli organismi che la abitano. Il processo qui protagonista è l’evaporazione di acqua salina. L’artista ricostruisce la struttura di una tenda da campeggio (tubi, morsetti e tenda in tela di cotone verde), sulla cui parte superiore vi è dell’acqua marina, che colando e evaporando lascia tracce di sé. Per Zorio, le tracce lasciate dalla soluzione salina rimandano alla natura, la struttura costruita dai vari elementi della tenda da campeggio può essere intesa come una metafora del corpo umano e delle funzioni di scheletro e vene, mentre la macchia che si forma a livello del pavimento corrisponde alla dimensione antropocentrica del lavoro dell’artista stesso.

Anche in Piombi (1968) possiamo ritrovare l’interesse di Zorio per i processi e le reazioni chimiche. In quest’opera un arco di rame è posizionato in modo che le sue estremità siano poste in due diverse vasche di piombo. In una vasca è contenuto solfato di rame, nell’altra acido cloridrico, questi due composti innescano diverse serie di reazioni di ossidazione che possono modificare l’elemento in rame.

Vi lascio con un’altra citazione di Zorio, in questo caso sull’energia umana che attraversa i suoi lavori e come lui intende trasmetterla, a mio parere uno spunto interessante:

“Il filo conduttore è l’energia intesa in senso fisico e in senso mentale. I miei lavori pretendono di essere essi stessi energia perché sono sempre lavori viventi, o sono lavori in azione o lavori futuribili. Nei primi lavori questa energia si concretizza in maniera molto fisica, a livello di reazione chimica, per cui l’opera non è conclusa ma continua a vivere da sola, mentre io mi pongo come spettatore sia delle sue reazioni che delle reazioni degli spettatori. É in questo senso che io intendo l’idea di processo che c’è nei miei lavori […]. Il mio vero problema è l’energia che mi coinvolge in prima persona e che desidero coinvolga anche lo spettatore con la sua vitalità continua. Nei miei lavori l’energia non è una semplice nozione astratta, puramente fisica, ma si riferisce ad una dimensione tutta umana, a una dimensione antropologica, a situazioni che fanno parte della storia”.

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