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di Bianca Peratici

La Chimera, un film accogliente di Alice Rohrwacher, candidato al festival di Cannes, ma purtroppo, trasmesso in sole 177 sale Italiane.

La storia è ambientata a Truscia negli anni 80, un paesino vicino Viterbo, dove Arthur (Josh O’ Connor) torna dopo la sua carcerazione per perseguire la professione illegale di “Tombarolo”. Infatti, il nostro protagonista, ha un fiuto quasi magico per trovare rovine etrusche sotterrate nel tempo e, come un pifferaio magico, porta i colleghi alla scoperta del sottosuolo dimenticato.

Tornato in paese il protagonista si reca a casa della madre della sua fidanzata scomparsa (Isabella Rossellini), dove vediamo un contesto di sole donne che ribaltano il loro ruolo sociale classico, portando la più anziana al comando, come nella società matriarcale etrusca. Questo può essere un punto fondamentale del film, dato che qui Arthur conosce Italia, una studentessa di canto, che con la scusa di insegnargli l’italiano, si avvicina a lui e al suo mondo. 

Nelle persone presentate, tra i tombaroli e i compaesani, vediamo la classica curiosità provinciale di chi sperimenta il nuovo, collegato all’arte del pettegolezzo, sottofondo di molte scene. La ricerca del legame tra vita e morte, rimarcato dal capovolgimento della ripresa quando Arthur trova un reperto, ci accompagna nell’inconscio tormentato del protagonista, ancora in parte speranzoso di trovare il suo amore al di là del suo filo immaginario.

In un mondo dove tutti pensano a capitalizzare sulla bellezza e guadagnare dal passato vediamo Arthur sensibile e toccato dalla sua preziosità, che lo porterà a fare scelte inaspettate per salvare la purezza dell’arte, non sempre fatta per gli occhi degli uomini.

L’uso del formato del film cambia in base alla situazione, infatti, quando il protagonista sogna o riflette, la ripresa è quadrata (4:3) mentre il resto del tempo si presenta rettangolare (16:9) con gli angoli smussati.

Tutto il girato ha una filigrana sabbiosa e luci vivide e naturali, richiamando l’idea di cinema verità che ci permette di entrare nella vita del paese.

Non mancano riferimenti importanti, come “La nottola di minerva”,  (teoria del filosofo Hegel) quando una civetta osserva i personaggi scavare per trovare una tomba. Proprio come nel mito dove la civetta, personificazione della filosofia, osserva la storia mutare con lo scopo di spiegarla, il regista fa ciò nei nostri confronti. 

Inoltre vediamo scene in timelapse mute con solo accompagnamento sonoro, che riprende il modo di girare del cinema classico degli inizi del cinema.

Un film delicato e avvolgente, dove anche le mani e gli sguardi comunicano allo spettatore, lasciandogli l’amaro in bocca sul finale permettendoci di riflettere sul nostro punto di vista e farci una nostra idea, non necessariamente guidata dalla regia.

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