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di Michela Giorgio

In occasione della gita scolastica, la classe 5^Arti Figurative/Grafica B si è recata a Napoli dove, ripercorrendo le numerose epoche che la città ha vissuto, è possibile ammirare varie forme d’arte, passando dall’arte antica, ai murales, alle opere di riqualificazione delle stazioni della metropolitana, per citarne alcune. Tra queste non può essere trascurata l’arte contemporanea del Museo Madre (Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina).

Al momento della visita non si tenevano mostre aggiuntive alla collezione permanente e, di questa, non tutte le opere presenti erano accessibili, ma trovo che ciò non abbia compromesso l’esperienza generale, che è stata di grande effetto.

“Axer / Désaxer”di Daniel Buren 

Appena varcata la soglia del museo, infatti, si entra a far parte dell’opera architettonica di Daniel Buren, “Axer / Désaxer”, che permette al visitatore di immergersi fin da subito nel mondo creato dall’artista e di prepararsi ad esplorare quelli successivi. 

Ad esempio  si può trovare “Dark Brother” di Anish Kapoor che, apparendo come un rettangolo bidimensionale, ha spinto gli spettatori ad interrogarsi sulla natura effettiva dell’opera e sul concetto di illusione, grazie all’utilizzo del celebre Vantablack (fino al 2019 considerato il nero più scuro al mondo), di cui Kapoor ha l’esclusiva in ambito artistico.

“Dark Brother” di Anish Kapoor

Ma anche “Giuditta e Oloferne” di Richard Serra gioca sulla nostra percezione della realtà, e su quanto questa sia soggetta al punto di vista da cui si osserva.

“Giuditta e Oloferne” di Richard Serra

Parlando di gusto personale non posso non citare l’esperienza, quasi catartica, che è stata contemplare l’installazione di Rebecca Horn, “Spirits”, la quale non solo contiene meccanismi in grado di muovere parti dell’opera stessa (che quindi cambia nel corso dei minuti), ma si compone anche di una parte musicale che permette di coinvolgere più sensi.

“Spirits” di Rebecca Horn

Lo stesso giorno la classe ha visitato, oltre al Madre, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. È possibile, dunque, evidenziare alcuni aspetti di entrambi tramite un breve confronto.

Dal punto di vista organizzativo trovo che la presenza di poche opere, data anche dalle minori dimensioni del Madre, abbia favorito una maggiore attenzione nei confronti di ciò che si andava a guardare, e che la visione stessa sia stata ampiamente aiutata dalle schede (accessibili ai visitatori anche in inglese) contenenti informazioni sia sull’opera che sull’artista. Questo, infatti, permette di fornire un contesto attraverso il quale lo spettatore acquisisce maggiore consapevolezza di ciò che osserva. Contrariamente, alcune opere del Museo Archeologico sono sprovviste di targhetta. 

Al contempo, se le dimensioni del museo possono risultare dispersive, le sculture imponenti che vi si trovano (ad esempio l’Ercole Farnese o l’Atlante Farnese) suscitano sentimenti di meraviglia in chi le ammira.

Atlante Farnese                                               Ercole Farnese

Dal punto di vista contenutistico invece entrano in gioco le preferenze personali: se da un lato si viene colpiti dalla grandiosità dell’arte antica, dall’altro le riflessioni e l’introspezione fanno da padrone.

In conclusione consiglio a chiunque ne abbia la possibilità di visitare il Museo Madre di Napoli (e non solo) perché dona un grande arricchimento dal punto di vista artistico per la qualità delle opere esposte e consente di vivere un’esperienza più intima, se vogliamo familiare, che mette in contatto con la propria interiorità.

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