Il latte dei sogni

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di prof. Nicola Traversoni

I numeri precedenti a questo ci hanno accompagnato nel mondo della Metamorfosi e del Liquido.

Che sia una coincidenza o un segno del destino nel titolo di questa 59esima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia trovano una perfetta fusione: The Milk of Dreams o Il Latte dei sogni.

LATTE: liquido, simbolo che rimanda al femminile, alla maternità; è legame amoroso, vitale, fisico. Risale alla notte dei cieli egizi l’immaginario della Virgo Lactans e si concretizza nella ricorrente iconografia del primo Trecento esprimendo la natura umana di Cristo e il suo essere divino; già nelle veneri preistoriche, però, il processo di nutrimento assume una valenza di tipo sacrale e il rapporto madre e figlio si eleva poi in epoca rinascimentale trasformandosi in una connessione tra Cielo e Terra, tra Eterno e Uomo. Dal nutrimento del corpo, quindi, al nutrimento dell’Anima.

SOGNO: attività psichica in cui tutto è concesso: mostri, tabù e desideri. Anche quelli più spietati, anche quelli più perversi. E ci appaiono come delle storie che a volte ripetiamo, narrazioni bizzarre in continuo divenire anche quando sogniamo ad occhi aperti. Di sogni è piena la storia dell’arte, ma lo sono anche il teatro, la letteratura, il cinema. E si sprecano i possibili e infiniti esempi.

Come ci dice Alemani, curatrice dell’esposizione, l’evento prende in prestito il nome da un libro di Leonora Carrington, artista surrealista britannica, che attraverso i suoi lavori ci parla di uno spazio onirico abitato da creature ibride, contaminate, mutanti.

E lo stesso avviene nello snodo tra i padiglioni dei Giardini e il percorso all’Arsenale, a mio avviso più coinvolgente, perché ricco di maggiori vibrazioni.

Le incertezze dunque sono lì, pronte e messe in mostra in una Biennale che non vuole essere ricordata come “quella della pandemia”, ma che per ovvie ragioni è luogo manifesto di esitazioni, convulsioni, perplessità e tentativi di rassicurazioni che si mescolano al più concreto bisogno di stabilire nuovamente una relazione con la Natura.

Il concetto di umano è superato, vale lo stesso per le differenze di genere che appaiono obsolete: la direzione è quella di creare una nuova specie, di trovare una nuova partenza, una nuova rinascita, guardando al passato nel tentativo di digerire antichi errori, mettendo in luce pregressi passi falsi. Senza giudizio alcuno. 

Perché questa edizione, come un elastico, ci spinge a fare grounding e al contempo ci catapulta verso l’alto, tende all’immaginazione, all’altro fuori da noi, all’incontro, all’incrocio.

Nell’aria salina della laguna, da cui sono da poco di ritorno con il gruppo della redazione Etra, si respirano e si fondono tre tematiche: la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi, la relazione tra gli individui e le tecnologie e i legami che si intrecciano senza distinzioni tra i corpi e la Terra.

Niente di più facile perciò incontrare installazioni immersive fatte di terra compatta, scura, profumata e subito dopo imbattersi in luoghi post-nucleari abitati da giganteschi fiori fluorescenti oppure osservare da vicino immensi tavoli chirurgici allestiti per l’assemblaggio di uomini cyborg. 

Scatti fotografici di persone inesistenti, artificiali e dannatamente umane stridono con opere realizzate interamente a mano  ( o a più mani?) costruite da rigore, rituale e minuzia, il cui sapore consta nel voler riappropriarsi di una gestualità persa, forse dimenticata.

Filmati chiassosi di bambini che si divertono nei giochi più disparati fanno a pugni, in senso buono, con la magia ovattata di mondi rovesciati dove l’uomo tenta di ricostruirsi e reinventarsi per sopravvivere a sé stesso. 

Bene…una miriade di possibilità che non ci devono spaventare, perché sono reazioni a tutto quello che è stato sino ad ora seppure in apparente contraddizione, come la natura e la tecnologia, perché in questa Biennale costruiscono un nuovo dialogo e imparano a coesistere.

La stessa Carrington “a chi le chiedesse quando era nata rispondeva che era stata costruita dall’incontro tra sua madre e una macchina, in una bizzarra comunione di umano, animale e meccanico che contraddistingue molti dei suoi dipinti e delle sue opere letterarie” ribadisce la curatrice. 

Mi rimane solo un dubbio… Latte dei Sogni…

“Dei sogni” è un complemento di qualità oppure di specificazione?

E’ il latte a cui noi aspiriamo e che tanto desideriamo?

Oppure è il latte a dover appartenere al mondo dei sogni?

A voi la risposta, io devo ancora ribattere.

Perchè sono ancora scosso e commosso dal padiglione italiano di Viola e Tosatti con la loro fabbrica silenziosa che vi invito a visitare. 

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